
E' passata più di una settimana e mi sono accorta di non aver scritto niente di Anna e sul fatto che adesso non c'è più.
E' strano. Eravamo amiche. Non la vedevo e non ne avevo notizie da anni, ma aver saputo che non c'è più ha aperto un buco nell'anima. Ci ho guardato dentro e ho visto tante cose: quello che è stata per me, tutto quello che mi ha insegnato, tutto quello che abbiamo fatto l'una per l'altra. Ho visto il motivo per cui non ci siamo più frequentate e non mi è parso così importante da giustificare il male che provo adesso, mentre ne sto scrivendo.
Forse scelgo male le amiche, ma era la mia migliore amica. O forse le scelgo bene, perché la sua estrema sensibilità l'ha portata a fare quel gesto per cui non esiste rimedio.
Ha incontrato e privilegiato le persone sbagliate, quelle buone le ha allontanate, spesso cacciate dalla sua vita.
Quando l'ho conosciuta la ammiravo, lei con quel suo modo di fare, lei che sapeva sempre cosa fare, lei dall'alto della sua esperienza che ai miei occhi appariva sconfinata. Poi è rimasta lì, congelata nei suoi sedici anni e nei suoi tormenti. Io crescevo e lei era sempre lì, ancora alle prese con i suoi fantasmi adolescenziali.
E poi non c'è stata più.
Inghiottita dalla sua vita e dal suo essere grande a tutti i costi.
Inutile ora guardarsi indietro e dirsi che se ... Il tempo è andato, ognuna ha fatto le sue scelte, le sue l'hanno portata a scappare, da sola, una notte, senza voltarsi indietro.

Ho finalmente creato il mio account in anobii e ho iniziato a catalogare i miei libri.
Che lavoro sporco per la mia anima.
I libri racchiudono e conservano quello che ero.
Quelli più vecchi hanno la data di inizio e quella di fine. Tratti decisi di pennarelli e penne e matite a sottolineare i passaggi più interessanti, o semplicemente quelli che mi piacevano di più.
Lo facevo perché così potevo sedermi a gambe incrociate sul mio lettino e a colpo sicuro leggere quelle cose a chi aveva voglia di ascoltarmi nelle mie lunghe notti insonni.
Amavo i miei libri. Non uscivo mai senza averne uno nella borsa.
Leggevo dappertutto. In piedi alla fermata dell'autobus. Seduta per terra alla stazione dei treni. Ogni mio viaggio portava con se il ricordo di una storia scritta da qualcun'altro, ma che in quel momento sembrava scritta solo per me.
Dove sono andata a finire?
Imbottigliata nel traffico che mi porta al lavoro a guardarmi nello specchietto retrovisore per gli ultimi ritocchi del trucco.
Chiusa al lavoro anche dieci ore al giorno a correre dietro scadenze e formalità.
Persa a fare la spesa in qualche supermercato, sul divano a casa cercando di tirare il fiato.
Mettendoli in ordine ho trovato tante cose custodite al loro interno: biglietti di museo, biglietti di concerto, scontrini, vecchie fotografie, e vecchie riflessioni.
Il prossimo post è una di quelle.
Sorvolerò sul locale minimal chic, sui piatti raffinati dal gusto improponibile, e sulle porzioni da modella anoressica, e anche sul fatto che dopo il circo siamo dovuti tornare a lavorare nonostante fossero quasi le cinque e mezza.
Quello che mi ha fatto veramente sentire come Paperino in ogni sua storia è stato il momento del regalo: montagna di pacchetti tutti colorati, ognuno che pesca a caso, tutti contenenti pochette con profumo e crema profuamata.
Chi ha beccato il profumo di Roberto Cavalli, chi J'adore o Hipnotic Poison di Dior, chi ha pescato Ferrè, e cosa mi ha regalato la mia manina sfortunella? Una pochette di vernice rossa di mano cinese sconosciuta, e il profumo L'Istant de Guerlain con la sua cremina profumata al seguito.
E ho riconosciuto lo sguardo della compassione che mi hanno riservato le colleghe intorno.
L'ultima in ordine di tempo è una coetanea conosciuta al lavoro, il mio vecchio lavoro. Lavoravamo in due filiali diverse, lei in città io in provincia, eravamo praticamente a 10 km di distanza, ci siamo viste anche al di fuori degli orari di lavoro. Poi il suo contratto di un anno a tempo determinato non è stato rinnovato. Ho sempre pensato che fosse stata un'ingiustizia. E' rimasta un po' senza lavoro, poi ha trovato una cosa molto precaria, poi ha ripiegato su di un'altra società di lavoro temporaneo. Ripiegato nel senso che a lei, mi diceva, quel lavoro proprio non piaceva. Non piaceva per gli stessi motivi per cui non piaceva a me: lavoro massacrante, senza sbocchi professionali, con interlocutori di basso profilo, mal pagato. Ma per noi giovani donne laureate è così difficile trovare qualcosa che sia stimolante, ben pagato, che non ci stressi troppo e che sia adeguato al nostro brillante passato scolastico. Così l'ho aiutata. Adesso lavora dove lavoro io. Certo: mansione diversa. Ma lavora con le mie ex-colleghe.
Me ne sto pentendo. Molto. Non le piace. Anzi: le fa proprio schifo.
E io dovrei finalmente imparare quell'unica lezione che dalla mia vita non voglio proprio sentire: che devo farmi i cazzi miei, sempre.
E per concludere: ad un'altra mia ex-collega che mi ha appena chiamata al cellulare per sapere come ho fatto io a trovare lavoro cosa dovrei dire?
Questa volta non mi fregano. Considerata l'occasione, che metteremo sull'asse x, e la variabile delle persone che metteremo sull'asse y, il vestito da indossare dovrà essere direttamente proporzionale all'idea che voglio dare di me.
E visto che l'ultima volta ero altamente impreparata, mi sono data una mossa.
In anteprima quello che indosserò al pranzo aziendale.
Scrivo questo post altamente superficiale mentre a Ballarò parlano dell'incidente avvenuto in una azienda metalmeccanica a Torino, dove hanno perso la vita quattro persone, quattro operai. Mentre snocciolano le cifre dei morti di quella che chiamano la morte bianca (mi informerò del perchè la chiamano così). Scrivo un post superficiale sul mio lavoro perchè non sono nessuno per dissertare su una problema così grave.
Io sono una di quelle che ha dichiarato che in proporzione al tempo libero che ho, guardo molta tv, ma lo ammetto: non ho mai visto il programma di Luttazzi.
Il motivo è banale: ho sempre pensato che per poter apparire si debba scendere a compromessi. E io di vedere uno spettacolo che scende a compromessi non ne ho voglia. Preferisco investire il mio tempo libero andando a vedere quello che mi pare e dove mi pare, senza censure. Quando ho voluto ascoltare Luttazzi mi sono attrezzata. Anche Paolo Rossi l'ho visto allo Storchi di Modena. E so che quello che avevano da dire l'hanno detto senza paletti, e senza che nessuno abbia gridato allo scandalo. Almeno non ad alta voce.
Non credo che per accorgerci che ci vogliono omologati e ignoranti si debba aspettare che censurino qualcosa in tv. Basta riflettere su quello che ci fanno vedere tutti i giorni per capire cosa si aspettano da noi.
Quindi sarò breve.
Mentre Torino piange i suoi caduti, morti di morte bianca.
Mentre i morti di morte bianca si accumulano sulla coscienza di una classe imprenditoriale e politica indifferente.
Mentre alcune banche danno l'opportunità di rinegoziare mutui a cui famiglie riuscivano a far fronte non più tardi di dieci mesi fa e che oggi fa fatica a pagare.
Mentre si annunciano nuovi rincari su beni di prima necessità.
Mentre nasce Mister Prezzi: nuova figura che pagheremo noi e che si farà corrompere da altri.
Mentre succede tutto ciò chi dovrebbe vegliare su di noi e garantirci uno standard di vita da paese industrializzato cosa fa?
Si accasa, divorzia, disegna un nuovo simbolo, cambia strategia, cambia colore, cambia pelle, si mescola, sparisce, riaffiora irriconoscibile, ricomincia il balletto in vista delle prossime elezioni.
Dicevo: c'è qualcosa di perverso perché sono anche curiosa. E dato che l'ascolto con attenzione, lei mi racconta tutti, ma proprio tutti gli spettegules della società che per quattro anni mi ha vista fra le sue più agguerrite dipendenti.
Cosa c'è di perverso? Il motivo per cui sono andata via è stata una fusione per incorporazione di un'altra società, che ha creato un esubero di personale soprattutto ai piani alti, che ha preso il sopravvento, lasciandoci orfani dal capo area in su fino all'amministratore delegato. Quella che era la mia capa è stata sostituita da un capo, che la mia amica, nonché ex-collega, continua a ripetere che mi sarebbe sicuramente piaciuto, se lo avessi conosciuto. E che con lui ha anche parlato di me. Perché c'è la mia impronta nel lavoro di tutte le filiali che ho seguito. Che da quando me ne sono andata il mio metodo di lavoro è rimasto immutato perché vincente. Che lei stessa ha imparato tutto da me, e se lei oggi è così brava lo deve a me. Certo, se il nuovo capo chiede di me a qualcun'altro che ha avuto il piacere di lavorare con me, non userà parole lusinghiere. Perché io sapevo essere fredda. E lei si ricorda di alcuni miei sguardi, bastavano quelli per capire tutto. E ha aggiunto che ora siamo amiche, ma finché abbiamo lavorato insieme, anche se in filiali differenti, aveva sempre una sorta di timore reverenziale nei miei confronti.
Perchè se me ne fossi accorta invece di licenziarmi li avrei terrorizzati un altro po'.
Allora: o io sono sfortunata o leggo solo blog che fanno tendenza. Su tre (dei pochi) blog che leggo io, guarda caso, tutti trattano lo stesso tema, nello stesso giorno. Se non è autoreferenzialità questa.
Ma soprattutto: perchè si deve sempre rimpiangere il prima, che per forza di cose deve essere sempre migliore del dopo? La rete (i blog) sono nati per esprimere qualcosa, se è qualcosa di bello leggo, se è qualcosa di inutile passo oltre. La ragazzina di 16 anni vuole scribacchiare in rete piuttosto che nella smemoranda? Che faccia pure. Un aspirante scrittore usa la rete per promuoversi? Cambiano i tempi cambia anche il modo di farsi conoscere.
E pensare che io lo avevo scritto un paio di settimane fa.
Sono sempre fuori tempo.
Fanno sorridere, anche ridere a volte, gli espedienti di Mariona per sopravvivere in un'Italia alleata con i tedeschi (ma non per fare la guerra), abbandonata dal suo re (ma che attualità!) e poi lasciata allo sbando in mano agli americani, dove non è rimasto nulla se non la speranza che tutto finisca al più presto. Speranza incarnata dalle mamme che vanno da Mariona per sapere quando i loro figli torneranno dalla guerra. Tutte ritroveranno i loro figli, ma non in questa vita. In una rappresentazione sospesa fra la vita e la morte i tempi sono quelli della rappresentazione popolare, con le loro credenze e i loro rituali.
E' la prima volta che vedo uno spettacolo di Celestini, l'ho visto qualche volta a "Parla con me", ma mai avevo seguito un suo spettacolo. Mi ricorda un po' Paolini, quel teatro sperimentale ma non troppo, impegnato ma con leggerezza.
Spero la prossima volta di riuscire a vederlo a teatro, per sentire senza mediazione le emozioni che ha da raccontare.
Ho 19 anni, mi sono appena diplomata e so esattamente cosa voglio fare.
Sono 7 anni che mi preparo a questo momento e ora è arrivato.
E’ stato un attimo, un colpo di fulmine e davanti a me si è spalancata una strada dritta e senza ostacoli facile da percorrere.
Certo, se i miei genitori non avessero deciso di trasferire famiglia e vita qui non sarebbe successo, ma lo hanno fatto succedere, ed io non posso che ubbidire al richiamo del mio destino.
Avevo solo 12 anni, e alla notizia del nostro imminente trasferimento non avevo replicato niente. Non avevo realizzato cosa in realtà significasse. Non avevo preso in considerazione il cambio radicale di abitudini che mi avrebbe atteso a quasi 1000 km da dove ero nata e cresciuta fino al quel momento, e che davo ormai per scontato.
Mai credere che qualcosa è per sempre. Bisognerebbe vivere con la consapevolezza che tutto cambia, che nulla può rimanere immutabile e immutato, e farsene una ragione il più velocemente possibile. E invece io giovane e inesperta mi ero trasformata. Non avevo amici e ho creduto alla mia incapacità di farmene di nuovi. Mi sentivo diversa, mi sentivo osservata e derisa e ho creduto che quella situazione non sarebbe mai potuta cambiare. Ero sola e questo era un dato di fatto che avevo accettato.
L’unico che mi aveva accolto facendomi sentire a casa era stato il paese con le sue stradine piene di storia e la sua aria vecchia ma non stropicciata. Era scoccato il colpo di fulmine. Ma lui la sapeva lunga, di anni ne aveva già più di duemila, aveva visto nascere l’uomo, accamparsi nelle sue grotte in riva al fiume. Lo aveva visto evolversi fino ad arrivare a me, bambina sperduta.
Mi accoglieva nei suoi vicoli ancora lastricati dal selciato romano inondate dal profumo di pane cotto a legna appena sfornato oppure impestato dall’odore di candeggina di un secchio appena svuotato lì, sulle sue vecchie pietre. E quanti pomeriggi sulle gradinate dell’anfiteatro romano a leggere facendo finta di studiare e intanto immaginare il divertimento di chi quelle gradinate le aveva calpestate prima di me. Un giorno mi ha anche regalato una vera moneta antica, facendomi finalmente sorridere. Ma soprattutto quanti abbracci sospesa fra terra e cielo quando mi andavo nascondere nella torre del castello normanno. Nascosta alla vista di tutti dominavo tutta la vallata e li non esisteva solitudine, c’eravamo solo io e lui. Io che ascoltavo mentre lui mi raccontava una favola, una favola vera fatta di cavalieri e dame, gendarmi e guerre, potenti e re.
Così è nata la mia passione per l’arte, la storia e Indiana Jones. Come lui anche io un giorno avrei scoperto dei tesori nascosti e avrei vissuto avventure spettacolari. E lui, quello che era diventato il mio paese, mi diceva che sarebbe stato possibile, perché attraverso di lui avevo conosciuto molto della storia e dell’arte, e le prime scoperte avremmo potuto farle insieme. Lui mi incoraggiava ad inseguire il mio sogno ed eccomi, a 19 anni con in tasca un diploma, eccomi pronta ad intraprendere la seconda parte della mia avventura.
Ma mai credere che qualcosa è per sempre, che nulla cambia. I miei genitori, proprio quelli che hanno fatto si che questa affinità nascesse, hanno deciso di non assecondare più i miei sogni. Io da grande non sarò come Indiana Jones, non sarò archeologa, ma sarò un avvocato.